Escursione Taou Blanc – Pont Valsavarenche

La fantasia al potere! Ci sono 4 modi normali per salire al Taou Blanc. Due dalla Val di Rhêmes: o dai dintorni di Thumel o dal Rifugio Benevolo, due distinti sentieri che si congiungono per attraversare il vallone della Vaudaletta e portare al Col di Leynir (3.084 m.). Il terzo itinerario è servito su un piatto d’argento dalla carrozzabile Ceresole Reale-Pian del Nivolet, con comodo arrivo in auto nei pressi del Rifugio Savoia (2.532 m.). Dal lago Rosset si arriva facilmente al Col Leynir. Il quarto ed ultimo itinerario parte da Pont Valsavarenche, per congiungersi nei dintorni del Rifugio Savoia ed accomunarsi al terzo. E’ decisamente il più lungo.

Il mio “integralismo valdostano”, nonché una buona dose di ricerca fotografica, mi ha fatto scegliere il quarto. Ho deciso così per sfruttare appieno una giornata dove la luce è protagonista in assoluto, in simbiosi con il fantastico ambiente offerto da quest’angolo di Parco Nazionale del Gran Paradiso. Anche se relativamente più breve, e selvaggia, la salita dalla Val di Rhêmes non mi avrebbe permesso di giocare con il Lago Rosset e gli altri smeraldi vicini, senza trascurare il fantastico tramonto arrivando nei pressi dell’Arolley nel tardo pomeriggio.

Questa lunga premessa è per spiegare il perché di questa folle alchimia chilometrica, che altrimenti non sarebbe razionalmente giustificabile. Se dovessi anche consigliare il momento giusto, allora perorerei con forza la mia scelta: tardo settembre, inizio ottobre. Perché al Nivolet non c’è un’auto a pagarla, perché le giornate sono più limpida, perché i camosci scendono molto bassi, addirittura all’altezza dell’Alpage du Grand Collet, indisturbati, a metà Pian del Nivolet. Sono tutte cose che lette così sembrano di una banalità notevole e che invece, dal vivo, hanno un fascino che non possono lasciare indifferente chiunque abbia un minimo di “savoire etre montagnard”.

La salita alla Croce d’Arolley è il tratto più brutto. In meno di un’ora è un ricordo, segnato dalla luce che supera i bastioni del versante occidentale del Gran Paradiso. E’ pesantemente in ombra l’ardito filo che congiunge l’Herbetet con la Montandaynè, poi al Piccolo Paradiso, quindi al Gran Paradiso, per scivolare via lungo gli spuntoni rocciosi della Montcorvè. Separati ed imponenti ancora più verso sud la Tresenta, il Ciarforon e la Becca di Monciair. I due limiti sono segnati dal profilo poco appariscente della Grivola e dai Denti del Breuil. Al mattino è solo una lunga cresta orlata di luce vitrea, bluastra.

Pian del Nivolet. Lunga e dolcissima salita, la cui prima parte è costellata da pietroni ricamati da piccoli stagni, acque reflue e dal rumore della Dora del Nivolet, la quale si concede qualche licenza di avvicinamento al sentiero, regalando pozze verdissime. L’erba secca è ridisegnata dallo strato di brina e tutte le pozze d’acqua sono impreziosite da uno strato di ghiaccio, segno che l’estate è finita, almeno durante la notte. La prima sorpresa è quella di imbattermi in un branco di camosci. Poco spaventati dalla mia solitaria presenza, si discostano di un centinaio di metri dal mio passaggio, per accamparsi su di una costa rocciosa. Il loro sguardo ti fa sentire l’animale nel Parco. Proseguo fino alla barra che chiude la strada asfaltata.

Intanto il sole arriva, scalda un pochettino il freddo ambiente, illuminando la Basei ed il suo ghiacciaio, bellavista rovinata da un’enorme traliccio elettrico che sembra più la fionda di Golia. Alle mie spalle rimane la forma meno nobile della Grivola, mentre i due lunghi confini laterali sono dominati dalla creste del Taou Blanc e delle Meyes, sulla sinistra orografica, e dalla lunga dorsale culminante nella Punta Fourà sulla destra orografica. Senza arrivare al Rifugio Savoia taglio lungo uno degli innumerevoli sentieri che rigano il pendio. Risalita la china più pendente, si apre un immenso pianoro. Seguendo il sentiero principale si prende in direzione NE; in breve appare l’ampio catino del Lago Rosset.

Il mattino lo spettacolo è garantito dal riflesso della Basei e della rocciosa Gran Vaudala in questo splendido lago, fornito pure di isoletta dall’aspetto di disco volante adagiato sull’acqua. Il lago si costeggia lasciandolo sulla sinistra, camminando poi su terreni docili, larghissimi, finalmente dominati dalla catena del Gran Paradiso. Compiuta la virata per camminare a fianco del lago, è finalmente avvistabile la lunga cresta appena al di là del Col Leynir, culminante nella vetta del Taou Blanc.

Lasciato il Rosset, si prosegue fino a raggiungere una piccola asperità, alla base della quale sbucano i Laghi Tre Becchi. Più piccoli e dal profilo irregolare, saranno molto più apprezzabili il pomeriggio, sempre per questione di luce. Per ora mi limito ad osservarne il bizzarro perimetro. Il sentiero prosegue, in questa enclave piemontese, addentrandosi in pianetti sempre più brulli, alternando anche ripide rampe brevi. Ad un certo punto, dopo una di queste secche salite, la vegetazione cessa di esistere. Sono solo pietre su pietre attraversate dal sentiero ben battuto, che si infila in una depressione a valle della Punta Bes. E’ l’anticamera al desertico tratto per salire al Col Leynir, oltre che il ritorno in territorio valdostano.

L’ultima acqua disponibile è a un quarto d’ora dall’arrivo al colle. Oltre questa piccola sorgente c’è soltanto terra bruciata. Il sentiero aggira un costone roccioso, lasciandolo sulla sinistra, ed arriva agevole al Col Leynir. Fine del sentiero “bello”. Il versante della Val di Rhêmes è ora ai nostri piedi; lontano domina il Monte Bianco. Già la vista dal colle è un eccellente aperitivo. Rimangono 350 metri di dislivello da salire per raggiungere la vetta del Taou Blanc.

Appena sopra il colle c’è l’unico passaggio “impegnativo” della giornata. Le tracce di sentiero portano ad un diagonale detritico su pendio molto ripido, oppure seguono verso un salto di roccia con un poco chiaro passaggio proprio al centro di esso. Molto più facile del previsto salire sulle rocce, che sono belle, prive di detriti ed assolutamente sicure, offrendo eccellente presa per gli scarponi. Il traverso su sfasciumi è meglio lasciarlo per la salita sci-alpinistica, quando la neve garantirà maggior sicurezza. Superato il salto di roccia si apre il piatto profilo inclinato del Taou Blanc. Ci sono cinque, dieci centimetri di neve che ricoprono il battuto, qualche ometto mi aiuta a seguire una direzione, poi, ben presto, è tutta strada libera fino alle punte terminali. Non ho idea di dove siano le tracce quando non c’è neve, anche se credo sia meglio risalire il pendio terminale lungo la cresta spartiacque con il Nivolet. Poco prima di arrivare in vetta, è meglio incominciare il taglio diagonale per raggiungere la cima principale, situata sul lato opposto del versante.

La mia curiosità mi spinge a risalire la cima est, quella a picco sul Nivolet, alquanto scomoda ed insidiosa, oltre che di esigue dimensioni: è impossibile anche fermarsi. Per salire alla vetta principale basta seguire la cresta terminale. Terminata la corta traversata, con i piedi ormai al sicuro posso finalmente godere dello straordinario panorama che si può catturare da qua sopra. Levanne, Uia di Ciamarella, Basei, i pendii della Vaudala, Galisia, Calabre, Tsanteleina, Granta Parei, Grande e Petite Sassiere, Platte de Chamois, Grande Traversiere, Truc Blanc, Grande Rousse, gli avamposti del Bianco (Aig. des Glaciers e Trelatete), tutto il resto del Bianco, dal Maudit al Dolent è ben visibile solo dalla punta principale, come la prospiciente Aouille. Proseguendo la carrellata, si trovano, la Roletta, Bianca di Bioula e Bioula, la vicina Cima d’Entrelor, il Gran Combin sullo sfondo e tutte le montagne svizzere dei dintorni dell’Arolla, Dent Blanche, Gran Nomenon, Dent d’Herèns, Cervino, Grivola, Punta Nera, Col des Rayes Noire, Col Lauson, Gran Serz, Herbetet, Becca di Montandaynè, Piccolo e Gran Paradiso, Montcorvè, Tresenta, Ciarforon, Monciair, Denti del Breuil, Testa del Grand Etret, Punta Fourà. Addirittura, cosa che non mi sarei aspettato, dato il lunghissimo spostamento, si vede il pianoro di Pont Valsavarenche, oltre che ai laghi del Nivolet, Rosset, Leità e la lontana diga del Serrù. Riprendo fiato.

Abbagliante, sfolgorante: non ho più parole per descrivere l’orizzonte che emerge da qua sopra. Mentre il sole incomincia a posizionarsi per la seconda parte di questo kolossal giornaliero, mi riposo un momento, sospeso in Paradiso, se non lo posso pensare qui …, con la faccia segnata dal vento abbastanza freddo. Il classico meritato spuntino, poi dieci minuti di puro divertimento per scendere il pendio leggermente innevato, scivolando sulle suole, evitandomi così di dover scarpinare. Ritorno al delicato passaggio appena sopra il colle e scendo sui terreni brulli del Leynir. Riguadagno il colletto sotto la Bes, risalendo la brevissima salita e ritorno nell’enclave piemontese. Rimane da terminare la parte desertica, ritornare sui pendii più regolari ed erbosi …

Inutile sottolineare la splendida coreografia offerta dalla variegata forma dei Tre Becchi, il Gran Paradiso, l’erba bruciata ed il cielo dal blu intensissimo. Stessa cosa vale per il Rosset, al quale dedico una doverosa ora, necessaria per lo scatto delle fotografie ed il tempo per seguirne il perimetro, completando il giro iniziato dal passaggio lungo la costa orientale del mattino. Sotto certi aspetti sembra addirittura un lago di origine vulcanica, soprattutto quando si segue il suo lato occidentale, quello immediatamente sotto la Gran Vaudala. La riva opposta è disegnata come un bordo di un cratere. Quasi nei pressi del suo punto più meridionale, il lago perde la sua sponda opposta ed emerge in tutto il suo fascino la catena del Gran Paradiso, creando un gioco di specchi notevole.

Con le ombre che si allungano inesorabilmente, lascio il Rosset per tornare all’Alpage Riva, taglio corto verso la strada asfaltata che attraverso immediatamente per inoltrarmi nel Pian del Nivolet. Un’ora di cammino con il sole fortissimo sul collo mi attende, prima di arrivare all’Arolley. Ritrovo il branco di camosci nello stesso punto del mattino, suscitando in loro reazioni uguali al passaggio precedente. Per fortuna che ho la luce a favore, avendo il sole bassissimo alle spalle, oltre ad arrivare sottovento. Riesco ad arrivare loro molto più vicino rispetto al mattino, sorprendendoli. Immobili, si fanno contare: 62. Non avevo mai visto un branco così numeroso, così vicino.

Il Pian del Nivolet sta ormai per cedere al baratro della Valsavarenche, senza risparmiare sugli ultimi colpi ad effetto, grazie ai larici con fondale la catena del Gran Paradiso, illuminata da una luce caldissima. Mi godo e tesorizzo gli ultimi istanti di questa giornata grandiosa, catturando l’ultima panoramica dall’Arolley: questa volta, dalla Grivola alla Monciair, è tutto come da manuale, con il sole perfettamente posizionato allo scopo. Il sentiero scende a picco su Pont dandomi possibilità di godere con straordinaria continuità all’incomparabile scenario. C’è ancora una luce eccellente quando arrivo al parcheggio, alle 18 in punto, talmente efficace da non riuscire a smettere di catturare immagini. A spanne, ho camminato per circa 20 chilometri, regalandomi una delle più belle ed intense giornate di escursionismo che abbia mai vissuto. Valutazione gita: 5 stelle.

Info per il Taou Blanc

Altitudine: 3.438 m.
Quota partenza: 1.960 m.
Dislivello totale: 1.478 m.
Località di Partenza: Pont Valsavarenche.
Tempo salita: 5 ore / 5 ore e 30.
Difficoltà escursionistiche: EE
Esposizione: E + S
Mappa: IGC foglio 102 – Valsavarenche, Val di Rhêmes, Valgrisenche, scala 1:25.000

Accesso automobilistico

Autostrada: uscita casello AOSTA OVEST, proseguire lungo la SS. n. 26, direzione Courmayeur, fino ad Introd.

Da Introd, prendere in direzione Valsavarenche. Pont Valsavarenche si trova esattamente al fondo della valle, dove termina l’asfalto. Ampio parcheggio.

Note particolari: tutto l’itinerario si svolge all’interno del Parco Nazionale del Gran Paradiso.